Parole senza tempo

di Maria Francesca Mosca

Ci sono momenti in cui la vita mi sembra fisicamente pesante e la stanchezza di oggi si assomma a quella di ieri nell’incertezza del domani.

Sto uscendo da una casa in cui ho appena constatato il decesso di una mia giovane paziente dopo un lungo calvario iniziato con la diagnosi di un tumore polmonare.

Mi guardo intorno. Tutto sembra immutato: il giardino ben curato, i gerani rossi sui balconi di legno, la sedia a dondolo sotto il portico, ma in realtà niente sarà più come prima in questa casa perché la morte si è portata via i sogni e le speranze fermando il tempo e fissando l’eternità nell’incredula espressione di occhi disperati.

“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” mi ripeto e mai, come in questo momento, mi pare realistica l’espressione di Ungaretti.

Mi sento spenta. Grigie emozioni imprigionano la mia vita in un quadro senza colore.

Decido, all’istante, di prendermi una pausa.

Andrò al mare, in Liguria, dove la bellezza della natura si fonde con l’armonia del paesaggio e mentre cammini fra il verde all’improvviso ti appare, incorniciato da stupendi pini marittimi, il mare, spumeggiante, vivo, così vicino eppure così lontano….

Sono sul lungomare, seduta su una panchina e sto ammirando il tramonto. Non c’è momento più puro, più capace di trasmettere pace interiore che quello del tramonto.

Tutto sembra sospeso nell’attesa dell’attimo in cui, fra dorati riflessi, il sole scompare, per lasciare il posto all’oscurità e nell’oscurità si annulla ogni contorno, tutto resta indefinito in una innaturale dimensione.

All’improvviso mi si siede accanto una ragazza.

Infastidita dalla sua presenza, ho la tentazione di alzarmi ed allontanarmi, ma qualcosa in lei, nel suo atteggiamento, mi induce a guardarla meglio.

L’aspetto è ben curato, l’abbigliamento è alla moda, non ci sono segni esteriori di disagio, ma lo sguardo è perso…. lontano.

Sentendosi osservata lei si volta verso di me e allora posso fissarla bene negli occhi.

Li conosco quegli occhi: non hanno più colore, sono tristi e buie finestre aperte sul vuoto, sull’abisso della paura, sono orbite spente dall’ombra della morte.

-“Ho avuto oggi conferma della diagnosi di leucemia, domani dovrò ricoverarmi, ma io non sono pronta, non voglio! Se devo rinunciare alla vita, piuttosto lo faccio subito, senza soffrire un calvario privo di speranza”- mi dice all’improvviso, con voce atona e poi aggiunge: -“Perché a me? Ho vent’anni, vent’anni capisci? E tutti i miei sogni. Ho voglia di amare, di vivere fino in fondo le mie illusioni. Non posso rinunciare alla totalità dei miei interessi e delle mie emozioni per morire un poco ogni giorno”.-

Chiudo gli occhi. Già, perché? Perché a vent’anni, ma anche a trenta, quaranta….?

E’ difficile accettare la sofferenza e ancor di più lo è in un’età in cui credi di avere il mondo fra le mani, hai fame di esperienza, sete di novità.

Come faccio a convincerla a curarsi, dove trovo parole senza tempo capaci di dare tempo alla vita?

Lentamente riapro gli occhi. Lei è ancora lì.

Non si aspetta niente da me, io sono solo un’immagine a cui ha urlato la sua disperazione. Non ho obblighi né doveri, potrei dissolvermi come una bolla di sapone, ma preferisco trasformarmi in una roccia a cui è possibile aggrapparsi.

Così inizio a parlare come non ho mai parlato a nessuno e insieme alle parole escono anche le emozioni, ricoperte dalla polvere del tempo, ma ancora vive e intrise di lacrime mai versate.

Non la guardo mentre parlo perché il mio sguardo accarezza immagini lontane….

“-Ero felice”- inizio a dire- “Ero giovane e felice e mi inebriavo del profumo della vita. Appena laureata avevo iniziato con gioia ed entusiasmo la mia professione di medico. Poi il matrimonio, per amore, con Andrea ed il nostro rapporto era pieno e completo.

Ricordo ancora il viaggio di nozze alle Maldive. Era tutto perfetto. Mi specchiavo nei suoi occhi verdi per ritrovare la trasparenza di quel mare e nell’immensità del fondo marino vedevo riflessa la grandezza del nostro amore.

Una sera, sulla veranda del nostro romantico bungalow, mentre osservavo la bellissima sabbia resa argentea dai riflessi di una magnifica luna piena, rabbrividendo, ho detto ad Andrea –“Ho paura di tanta felicità”-. Ma lui prontamente mi ha risposto abbracciandomi: -“Non bisogna mai aver paura della felicità perché, al contrario, è un grande tesoro da mettere da parte e a cui attingere nei momenti più difficili”-.

Al ritorno a casa avevo poi scoperto di essere incinta e la dolce presenza di quel germoglio di vita aveva reso ancor più completo l’amore fra me e mio marito.

Poi, all’improvviso, un giorno, al quinto mese di gravidanza, mi sono sentita male. La corsa in ambulanza, il ricovero in ospedale e Andrea…. che non arrivava.

Perché non era vicino a me? Eppure l’avevo subito rintracciato e avvisato. Con la sua calda voce mi aveva rassicurata promettendo che mi avrebbe raggiunta subito.

-“Stai tranquilla, amore, vedrai che non sarà niente”-.

Ricordo ancora le sue parole. Sono rimaste scolpite nel mio cuore perché…. sono state le ultime. Non ho più visto né sentito Andrea. E’ morto in un incidente mentre veniva da me e insieme a lui sono morti tutti i nostri sogni e la nostra felicità.

-“Tu sai quante volte avrei voluto essere morta anch’io? Quanti perché mi sono chiesta? Riesci ad immaginare la mia disperazione quando sono rientrata a casa dall’ospedale e ovunque appoggiavo il mio sguardo trovavo un ricordo, un particolare, un oggetto di quel mondo tanto amato e tanto felice, di quell’ambiente arredato con cura che doveva proteggere e cullare il nostro amore?

Non riesco a tradurti in parole come mi sentivo in quell’appartamento in cui era bello rientrare alla sera perché c’era il calore dell’abbraccio e dei baci di mio marito ad aspettarmi, mentre ora mi circondava solo il freddo della solitudine ed il gelo dell’angoscia.

Avessi almeno potuto portare a termine la gravidanza!

Avrei ritrovato negli occhi e nel sorriso della nostra bambina la forza di vivere, invece in pochi attimi ero rimasta con frammenti di vita fra le mani, amare briciole di dolci ricordi.

Ero piena di rancore verso tutto e tutti, mi faceva rabbia persino Andrea che mi sorrideva dalle foto, mentre io non avevo più voglia di ridere e nemmeno la forza di piangere.

Poi, piano, piano, il contatto quotidiano con i problemi e le sofferenze degli altri, in qualche modo, mi ha aiutato ad alleviare le mie.

Mi sono ricordata delle parole di mio marito a proposito della felicità ed ho capito che davvero la gioia che avevo provato poteva aiutarmi anche nella tristezza della mia situazione. Invece di continuare a rimpiangere ciò che avevo perso ho incominciato ad apprezzare la fortuna di avere vissuto un amore intenso e completo, anche se per breve tempo, ed ho capito che nella vita non esiste un “per sempre”, ma c’è l’oggi con la sua realtà bella o brutta e comunque importante.

Non lasciare che la paura ti annulli,non permettere che alcune cellule impazzite, sospese fra mari di promesse e fiumi di speranze, anneghino la tua giovinezza in ruscelli di vita ricchi solo di rimpianti per ciò che non potrai avere”.-

Un “grazie” sussurrato fra le lacrime mi fa capire che lei è ancora lì.

Lentamente si alza ed io riesco solo, con un gesto istintivo a infilare nella tasca della sua giacca il mio biglietto da visita.

Le chiedo come si chiama, ma il suo nome si traduce in un alito di vento.

-“Io avrei chiamato la mia bambina Eleonora”- dico più a me stessa che a lei anche perché mi sembra già lontana.........

Sono passati tre anni da quel giorno.

Siamo di nuovo in autunno ed oggi è una di quelle grigie giornate in cui nulla pare interessarmi. Guardo svogliatamente la posta e mi incuriosisce una busta azzurrina con un indirizzo scritto a mano con una calligrafia a me sconosciuta.

La apro…..

Cara Giulia,

probabilmente non ti ricordi neppure di me, ma ho ritrovato per caso nella tasca della mia giacca il tuo biglietto da visita ed ho sentito il bisogno di scriverti.

Sono quella ragazza che in un giorno d’autunno ti si è seduta accanto su una panchina lungo-mare.

Io ti voglio e ti devo ringraziare. Sono viva oggi solo perché quel giorno ti ho incontrata. Ero disperata e ,soprattutto, avevo tanta, tanta paura. Mi sembrava più facile risolvere i problemi togliendomi la vita.

Un attimo e…… l’incubo sarebbe finito!

Poi ti ho vista. Eri così assorta che ho pensato che non mi avresti neanche ascoltata ed io avevo comunque bisogno di comunicare a qualcuno la mia sofferenza.

Ma ero già pronta ad andare via se tu avessi provato a consolarmi o a convincermi a curarmi.

Invece, in un ponte sospeso nel tempo, il tuo passato d’angoscia ha incontrato il mio presente di disperazione e la tua storia, il tuo coraggio mi hanno dato la forza di sottopormi alla terapia e di sopportare i momenti più duri.

Pensa, mi sono anche innamorata e vivo questo sentimento ancor più intensamente proprio perché sono consapevole che non posso avere certezze per il futuro.

Però sono viva, amo e riesco ad essere felice, di una felicità che mi avvolge perché non la proietto nel domani ma la assaporo avidamente nel mio presente.

Non avrei avuto tutto questo senza di te.

Grazie ancora!!

Quel giorno mi hai chiesto come mi chiamavo.

Io non ti ho detto il mio nome, l’ho solo sussurrato ,ma in quel momento e da quel momento mi sarebbe tanto piaciuto chiamarmi Eleonora.

Non ti lascio il mio indirizzo e distruggerò il tuo perché il nostro incontro resti nel tempo della memoria”

Sorrido, allora era ancora lì ed aveva sentito!

Ti ricorderò sempre così, ragazza senza nome, e, in quel ponte sospeso nel tempo, tra i riflessi di lacrime scomposte, il tuo grazie sussurrato mi porterà il bacio della mia Eleonora.