Chi sa, oggi, di Agnodicea, la giovane ateniese della scuola di Erofilo in Alessandria d’Egitto che nel 300 a.C. si travestiva da uomo per poter esercitare l’ostetricia? E chi ricorda Ecamede, Agamede e Polidamna, interniste all’epoca della guerra di Troia?
Giunta al 3°  millennio d.C. la scienza medica va reclutando capillarmente nelle aule universitarie, nelle corsie degli ospedali e delle cliniche, sul territorio, nuovi punti di forza tra le discepole di Ippocrate. Tra venti anni in tutte le strutture del Servizio Sanitario Nazionale saranno le donne, in netta supremazia, ad indossare il camice bianco.
A loro si richiedono sapere scientifico, competenza tecnologica, preparazione umanistica; e da loro si attende, in aggiunta, profonda sensibilità nella presa in carico dell’ammalato e nella valutazione della sua malattia.
E tempo, sempre più tempo, invero espropriato alla sfera del personale, da condividere e con i pazienti e con gli interessi aziendali.
Per la maggior parte di queste donne, cittadine lavoratrici, persone di cultura ad indirizzo specifico, in un Paese in cui i servizi vengono erogati prevalentemente attraverso la famiglia, il rischio è di pagare il massimo del prezzo, sia la scelta professionale, senza dubbio volontaria, sia il proprio destino biologico come organismi di sesso femminile.
Il prezzo è  la fatica di continuare a vivere  a ritmi serrati, senza alcuna cadenza tranquillizzante, in spazi dove le inarrestabili macchine burocratico-amministrative elaborano, con pervicace insipienza, modelli organizzativi svincolati dai reali bisogni individuali (umani e professionali).
Se la fatica è eccessiva, cronicizzando, genera sofferenza. Un dolore sintomatico totale (fisico, psichico, spirituale, sociale, burocratico).
Sono convinta che il collega e amico Gian Vincenzo Omodei Zorini, come medico, come giornalista, come scrittore, ma soprattutto come curioso di fatti storici e di costume straordinari e ordinari avrebbe sguinzagliato parole sue per indagare questo fenomeno epocale.
Nel ricordo di Gian Vincenzo (a cui il Premio Letterario Nazionale è intitolato), a nome della A.M.S.I. tutta ed in ufficiale rappresentanza del suo Presidente dott. Nicola Avellino, mi è sinceramente gradito consegnare questo 1° premio alla giovane dott.ssa Alessandra Costanza che ha saputo custodire un proprio tempo, esterno ed interno. Tempi che hanno valore…Per ricordarci come il bisogno dell’ascolto, dell’abbraccio, della protezione, sia un bisogno sacro di tutti, ma come il saper ascoltare, abbracciare e proteggere sono doni di pochi.
Che tali doni entrino nel bagaglio strumentale di ogni medico e vi permangano per sforzo collettivo, a favore degli assistiti, a favore dei colleghi ammalati che con competenza e dignità continuano ad esercitare l’ars curandi, a favore delle loro famiglie. 


                                                   Dott.ssa Cristina Negri
                          A.M.S.I. (Comitato di Redazione “La Serpe”)