“Le mie mani nelle tue” di Valentina De Luca

Sono vent’anni che abitiamo in questa casa e ne conosco ogni piccola vibrazione. Sono i miei suoni, le mie abitudini, sicurezze dettate dal tempo. Un tempo che oggi non è più mio, come non è più mia quella casa, con tutti i suoi rumori Sto viaggiando per una nuova città. Lascio tutto. Anche casa mia.
Alla fine ti convinci che è l’unica soluzione……..
Sul finestrino del treno scorrono le immagini di una terra che sto perdendo, allontanandola da me, vietandole di far parte della mia vita. Impedisco a Lei ed a tutto il resto di condizionare le mie giornate. Ho scelto di cambiare. Voltare pagina. Senza di Lei……
Il treno non arresta la sua marcia mentre i paesi iniziano a spegnersi. Insulsi sballottamenti qua e là mettono sottosopra il mio stomaco. O forse è soltanto un malessere dovuto all’allontanamento da casa. Non tocco cibo da giorni… Non ne sento il bisogno
Come non sento la necessità di fare null’altro. Ho soltanto bisogno di abbandonarmi sul sedile e perdermi con lo sguardo oltre questo vetro. Alla fine è molto più semplice di quello che sembra. Abbandonare tutto è come abbandonarsi a tutto. Lasciarsi scorrere addosso ogni tipo di emozione e fuggire in questo modo al dolore. Ogni genere di dolore. O almeno tentare………
Alla fine è sempre così. Non bastano più le voci della gente a popolare la mente spoglia. Non serve a nulla ascoltare la musica, leggere, andare al cinema, passeggiare, uscire, svagarsi, parlare, conoscere chiunque,vedere, munirsi delle più buone intenzioni. Perché tutto ciò non servirà mai a nulla…….
Inizio a sentire freddo. Cerco di riscaldarmi come posso e così chiudo gli occhi, ormai troppo stanca. Stremata dal volermi ostinare a guardare. Annientata dalle immagini del passato che con ostinazione vietavo alla mia mente di riportare a galla………
Mi addormento proprio mentre cerco di rimproverarmi per non essere stata abbastanza attenta, abbastanza sollecita ad allontanare i flashback, abbastanza risoluta nell’imporre la mia volontà……
Mi ridesto proprio quando il treno sta per entrare nell’immensa stazione in cui devo scendere io.
E’ ancora notte fonda. Non so neppure quanto ho dormito e se davvero ho dormito o mi sono solo lasciata andare credendo di dormire ……
Raccolgo le mie cose, che nel viaggio ho sparso qua e là inconsciamente . La giacca a vento la infilo al volo. Prendo la valigia sul ripiano in alto. La borsa e quel poco di me che resta. Mi affaccio nel corridoio. Non c’è molta gente. Solo qualcuno inizia a sporgersi nello scomparto, ancora insonnolito, forse in cerca di luce o solo di compagnia. Esco fuori. Il treno rallenta sempre di più, poi si ferma di colpo. Un tremore mi percorre tutta e mi scuote. Tutto si arresta all’improvviso. Si aprono le porte e un lieve flusso di gente mi porta via.
Arranco per le scale e mi trascino via. La fretta di togliermi dal marciapiede. L’impaccio dei bagagli. Finisco addosso a una ragazza. Incontro il suo sguardo triste e allo stesso tempo dolce. Malinconico. Nostalgico. I capelli lisci corti, molto alta. Mi scuso. Non volevo. Mi muovo come se fossi un burattino. Un androide venuto da un altro mondo. Lei mi sorride. Dice che non fa niente. Ma mi è caduta la borsa e il suo contenuto si è in gran parte riversato a terra . Mi aiuta a raccogliere tutto. E’ gentile. Presa ogni cosa, le sorrido anch’io e mi allontano adagio. Però, non appena mi stacco da lei, sento la sua voce che mi chiama. Mi chiede di tornare. Mi giro e vedo che tiene in mano la foto di mio marito e dei miei due figli. Una foto scattata qualche giorno prima dell’incidente che me li ha portati via. Torno indietro. Mi riprendo la foto e ricomincio il mio cammino.