“CHIAMAMI SPERANZA” di Roberta Brioschi

Braccia forti sì sono allungate ad accogliermi, a portarmi in salvo, a raccogliere gli ultimi
momenti di terrore.
Seduta per terra, le braccia che allacciano le gambe e una coperta di alluminio a scaldare il
mio corpo che si arrende al la stanchezza.
Vorrei chiudere gli occhi ma non ho sogni da fare, vorrei raccontarti una bella storia piccola mia,
ma non ne conosco le parole.
Intorno volti che non conosco ma che mi hanno salvalo la vita e che per questo chiamo angeli
anche se non hanno le ali e indossano giubbotti arancio fosforescenti.
Ti sei avvicinata con riservo, con cautela come ad aver paura di disturbare un dolore
troppo grande, sei bella, bionda, pelle bianca e occhi chiari.
Hai fatto cenno alla mia pancia, ho capito che chiedevi di lei e ho fatto si con la testa.
Ti sei seduta accanto a me, mi hai messo una mano sulla spalla e il respiro si è liberato in un
pianto muto e disperato.
Abbiamo trovato un modo per capirci tra sguardi e parole comuni e mi hai chiesto adesso
come sto.
Sto e mi basta, sto con lei che ho difeso dentro di me, sto con il mare addosso e il cielo tra le
braccia, a pregare un dio incolpevole e lontano.
Sto in un posto che non conosco, nella consapevolezza di un mondo che non capisce, di gente che
forse non ci vuole, di un futuro tutto da conquistare.
Mi hai chiesto quanti eravamo.
Tanti, sempre troppi a partire, tanti a non resistere e troppi a non farcela.
Un viaggio pagato caro e non solo con le monete, pagato con la tortura, le violenze e la
brutalità di chi "comanda".
Mi hai chiesto perche?
Perché ho desiderato per me e per lei una vita, ho immaginalo per me una sciarpa di seta e per
lei scarpette di vernice rossa.
Volevo poter raccontare a lei che la sua vita sarebbe stata diversa, che per lei il mondo
avrebbe finalmente aperto le porte e gli uomini il cuore, volevo accompagnarla a scuola, ho
sognato un quaderno e una torta di compleanno con le candeline.
Volevo vederla ridere e piangere, giocare e ballare, pregare, gridare, correre...e farlo con
passione, con entusiasmo chiedendo per lei solo futuro e libertà.
Ho pensato per lei il suo nome "Speranza"
Mi hai chiesto se ho avuto paura.
No, il tempo della paura è lento, dolce e paziente , invece il tempo della tragedia è buio, sordo,
impellente e maledetto.
E lì tra le onde o chiusi nella stiva non c'è tempo per capire e temere, per piangere e tremare.
Mi hai chiesto e adesso?
Adesso raccolgo i brandelli dei miei sogni, li ricaccio in fondo al cuore, ricucio lo strappo della
mia vita, sospiro al futuro e provo a credere ancora che il suo nome sarà "Speranza".
Proverò a raccontare a lei del nostro viaggio, proverò a dirle del dolore e della morte ma le
racconterò anche della fortuna e della rivincita, del la volontà e della resistenza.
Sarà forte lei, potrà essere felice...dovrà essere felice.
Lo sarà perché è per lei che ora piango, per lei ho freddo, per lei chiedo aiuto, per lei
racconto questa storia.
Da qua ricomincio.
La mano sulla pancia ad accarezzare la vita, quella che deve venire, quella che sarà, quella vita
così "vita" da avere davvero il diritto di chiamarsi Speranza.